Intervista al designer | Norbert Wangen - Salvioni
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21/10/2020

Intervista al designer | Norbert Wangen

Originario di Prüm, Norbert Wangen si laurea in Architettura presso la Technical University di Monaco di Baviera. Nel 1995 partecipa a diverse fiere a Monaco e New York con l’iconica poltrona Attila che entrerà a far parte della collezione del Vitra Design Museum e nella Neue Sammlung a Monaco.

Nello stesso anno, durante la ristrutturazione di un appartamento a Monaco, dà vita alla prima cucina con piano scorrevole, la famosa K2 presentata poi nel 2000 in occasione delle fiere del mobile di Colonia, Milano e Chicago. Sull’onda del successo, presenta nel 2002 la cucina K10 rinnovata di un nuovo sistema di aspirazione. Negli anni successivi la collezione di cucine firmate da Norbert Wangen si arricchisce con le K11 e K12 fino ad arrivare nel 2007 alla K14, innovativa per la purezza delle linee e l’essenzialità del design.

Forte della collaborazione con Boffi iniziata nel 2003, nel 2008 Wangen arricchisce le proprie collezioni con i bagni, introducendo il sistema di mobili B14 che nel 2010 si evolverà in B15.

Nel 2009 presenta la cucina K1; nel 2012 il bagno B20 e 21 e la cucina K20.

 

In occasione della Milano Design City e della presentazione presso la vetrina dello showroom Salvioni Milano Durini della cucina K6, abbiamo chiesto a Norbert Wangen di parlarci della sua lunga esperienza nel mondo del design domestico, nonché della prolifica serie di idee e innovazioni che l’hanno portato a concepire e rinnovare la propria concezione di cucina e bagno di design.

 

  • La serie K ha subito molte e diverse edizioni nel corso degli anni. Come descriverebbe questo processo di continuo ammodernamento?

L’ambiente della cucina è per me luogo di incontro, convivio e soprattutto comunione della famiglia. Il mobile cucina deve quindi rappresentare appieno questo desiderio di condividere un momento prezioso come quello del desinare, favorendo lo scambio reciproco e nascita di un clima di condivisione. Nel tempo la società è cambiata e con essa gli spazi, sempre più compressi e racchiusi tanto nelle dimensioni quanto nelle tempistiche. Le mie cucine assecondano in parte queste necessità, riducendosi in ampiezza e incrementando la propria funzionalità per venire incontro alle esigenze del nostro tempo. Sono più piccole, facilmente gestibili e strutturate per migliorare la possibilità nonché la qualità della conversazione fra gli ospiti.

Occorre però qui fare una distinzione fra cucina domestica e cucina professionale. Soltanto nel primo caso infatti l’emozione supera la funzione, dando cioè vita a una cucina dove spazi ed estetica esistono prevalentemente in funzione del vivere quotidiano. Le cucine professionali non hanno bisogno di creare calore e sentimento, ma si limitano a esprimere il massimo dell’efficienza nel minimo spazio possibile, indispensabile per racchiudere l’attività della cucina in un unico luogo attrezzato.

 

  • La serie K ha trovato applicazione nel mondo degli yacht. Com’è lavorare in quel settore?

Progettare la cucina per una casa non ha niente a che vedere con lo studio all’interno di uno yacht. Questi due mondi apparentemente simili non potrebbero infatti essere più diversi, necessitando perciò di un pensiero trasversale, atto a modificare non soltanto le forme, dimensioni e configurazione, ma gli stessi materiali di costruzione. Dal canto mio mi sono il più delle volte ritrovato a dover reinventare del tutto il concetto di cucina, dalle cerniere al supporto per pensili, dai piani agli infissi in metallo, studiando nuove soluzioni per necessità che sulla terraferma apparirebbero impensabili.

 

  • È per questo che sui suoi social si definisce un “designer inventore?

In parte sì. Il design di cucine è un campo fatto di dettagli e piccoli lampi di genio atti a soddisfare il non indifferente problema di trasformare un arredo standard in un oggetto completamente “a misura” del cliente, per soddisfarne le necessità. Perché è di questo che si tratta: dar vita ad ambienti dove ognuno possa sentirsi a proprio agio. Per rispondere a questa richiesta bisogna quindi improvvisarsi un po’ “inventori”, pensando sempre oltre le comuni prospettive per inoltrarsi nell’immaginazione. Solo in questo modo si è in grado di dar vita a un prodotto utile, funzionale ma soprattutto bello da vivere.

 

  • Con Boffi ha disegnato non solo cucine, ma anche bagni. Quali caratteristiche hanno? Come si articola la progettazione dell’ambiente bagno?

Nella progettazione dei bagni, tendo spesso a delineare due importanti linee di ispirazione. La prima, più nostalgica, volta a creare grandi manopole un po’ retrò; accessori la cui componente estetica si impone alla vista reclamando il proprio ruolo nell’intero sistema bagno.

La seconda, molto più essenziale e minimal, si concentra sulla forma dei lavandini, componente dove estetica e fisicità si fondano in un tutt’uno spingendo al massimo il limite stesso della progettualità di materiali come pietra e marmo. Dar vita a lavandini di questo tipo è stata una sfida non solo per me, ma soprattutto per l’azienda Boffi, la cui grande competenza tecnologica nonché l’estrema cura artigianale sono stati determinanti per realizzare il prodotto finito.

 

  • Lei è un designer tedesco che si è ritrovato a lavorare con aziende italiane. Come è successo e come definirebbe questa collaborazione nel tempo?

In realtà è molto difficile per me stabilire un vero e proprio percorso. Di certo la collaborazione con Boffi mi ha permesso e permette tutt’oggi di comprendere meglio e fare mio lo stile Made in Italy nella creazione di arredi d’alta gamma. È grazie al talento di questa azienda nonché alla volontà del Dott. Roberto Gavazzi, presidente dell’azienda, di rischiare che mi è stato possibile realizzare alcuni dei miei progetti più ambiziosi sia nel campo del design di cucine che in quello dell’arredo per bagni.